Terrorismo: l’Inghilterra in stato di assedio. Da Londra la testimonianza dell’imprenditore italiano Massimo Tortorella

 

11 settembre 2001, quattro aerei di linea vengono dirottati nei punti nevralgici degli Stati Uniti d’America, causando la morte di circa 3000 persone ed il ferimento di oltre 6000, oltre che il crollo dei simboli economico-commerciali degli USA, le Torri Gemelle. 11 settembre 2001, il giorno in cui cambiò senza appello, l’ordine mondiale ed è stata condannata a morte la civiltà. E’ riduttivo, senza alcun dubbio, far risalire la “secolare” questione mediorientale a quel maledetto 11 settembre, ma non è possibile negare che sia proprio quella la data che ha dato il via all’ inasprimento delle rimostranze e degli atti di forza di fazioni dell’islam radicale in continua crescita. Al Qaida prima, l’ISIS poi, sono diventati i “nuovi mostri” della porta accanto; ciascuno di noi ne subisce l’azione e che sia in modo diretto o collaterale, subiamo in una misura in cui non è più possibile pensare di “non farne parte”. Chi siano poi i veri mostri saprà dircelo la storia, non è questa la sede per prendere parte di uno schieramento, ma è questa la sede per ricordarci di un dolore globale che ci unisce inevitabilmente tutti.

12 ottobre 2002, nell’isola indonesiana di Bali perdono la vita 202 ragazzi per mano di attentati terroristici all’interno di un locale nella zona di Kuta, rinomata località turistica dell’isola. L’attentato è rivendicato da un’organizzazione vicina ad Al Qaida. 11 marzo 2004, Madrid viene messa a ferro e fuoco da dieci bombe poste all’interno di 4 treni. Muoiono 191 persone, colpite nella loro quotidianità. 2000 sono i feriti. Anche qui, l’attacco viene rivendicato da Al Qaida

7 luglio 2005, è la volta di Londra. Quattro attacchi all’ora di punta, distruggono tre treni della Tube ed un bus a due piani: 56 morti e 700 feriti. Attacco rivendicato da un gruppo vicino ad Al Qaida. Tra il 26 ed il 29 novembre del 2008 ad essere presa di mira è l’India. Vengono assaltati alberghi di lusso e dunque turistici, la stazione ferroviaria ed un centro ebraico di Mumbai. Il bollettino è di 166 persone morte.

Tra il 21 ed il 24 settembre del 2013 un commando assalta, in Kenya, il centro commerciale Westgate a Nairobi. 67 le vittime e attentato rivendicato dal gruppo estremista Al Shebab. Sempre in Kenya perderanno la vita altre 148 persone (tutti studenti), il 2 aprile del 2015, per mano dello stesso gruppo. In quell’occasione venne assaltata l’Università di Garissa.

Gennaio 2015: inizia la via crucis infinita della Francia, ancora oggi mirino “preferito” degli estremisti e centro nevralgico di formazione per migliaia di giovani fighters. Due uomini armati fanno irruzione nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, uccidono 12 persone. Il giorno dopo viene uccisa una poliziotta poco fuori Parigi, l’assalitore prenderà poi in ostaggio delle persone all’interno di un supermercato kosher, uccidendone quattro.

Purtroppo per la Francia, il peggio sarebbe dovuto ancora arrivare e quel peggio lo ricorderemo per intere generazioni: 13 novembre 2015. Durante quella frenetica giornata, l’organizzazione terroristica dell’ISIS prepara una serie senza precedenti di attentati che porteranno alla morte di 130 persone e al ferimento di 350. Le zone colpite saranno in tutto 6, tra il decimo e l’undicesimo arrondissement di Parigi. Vengono colpiti bar e ristoranti all’aperto, lo Stadio de France ove era in corso la partita Francia-Germania e la sala concerti Bataclan che registra le maggiori perdite, 89.

Il 2015 è decisamente un annus horribilis, vengono infatti colpite anche, nell’ordine, Tunisia, Turchia, Egitto e Libano. In Tunisia viene colpito un resort sulla spiaggia di Sousse il 26 giugno, quando uno studente armato di kalashnikov uccide 38 turisti. In Turchia vengono uccise 102 persone con attacco kamikaze alla stazione ferroviaria di Ankara, il 10 ottobre. Sempre ad ottobre, il 31, in Egitto si schianta un Airbus russo partito da Sharm el-Sheikh. Moriranno 224 persone per il più grave disastro aereo nella storia della Russia. A rivendicarlo è sempre l’ISIS. In Libano si registrano infine 44 morti per un attacco firmato ISIS a Beirut, contro il movimento sciita libanese Hezbollah. Se il 2015 è stato un anno di terrore, non va meglio al 2016, anno in cui cambiano le modalità di attacco da parte degli attentatori ISIS, ma non la sostanza. Non vengono utilizzate bombe e kamikaze per uccidere ma i simboli della vita quotidiana di ciascuna persona: le automobili.

E’ il 14 luglio 2016, giorno di festa nazionale per la Francia. A Nizza, vanno in scena i noti festeggiamenti sulla Promenade Des Anglais che culmineranno con gli spettacolari e tradizionali fuochi artificiali. Quella tradizione però non verrà rispettata perché un autocarro si farà strada poco prima, tra la folla, a tutta velocità investendo volontariamente centinaia di persone. I morti saranno 86 a fronte di 302 feriti.

La stessa dinamica verrà poi ripetuta a Berlino, nella notte del 19 dicembre 2016. Un autoarticolato piomba su un mercatino di Natale uccidendo 12 persone e ferendone 56. Il 22 dicembre, l’attentatore Anis Amri viene trovato ed ucciso in Italia, a Sesto. Nel mese di marzo del 2016 tocca anche a Bruxelles ed Istanbul, per altri morti da piangere e mostri da combattere. Siamo nel 2017 e gli attacchi terroristici non si fermano, continuano anzi a colpire senza tregua l’Europa, senza considerare i quotidiani attacchi perpetrati in tutte le altri parti del mondo (da citare la questione siriana che meriterebbe un capitolo a parte, la situazione irachena, del Kurdistan, della Nigeria, tanto per dirne alcune).

Tra marzo e settembre il terrore inizia a diventare in modo inquietante sinonimo di una grande Capitale europea: Londra. La Gran Bretagna diventa inevitabilmente il bersaglio più colpito considerando l’arco temporale degli attentati e le conseguenze riportate. E’ il 22 marzo, nei pressi del ponte di Westminster di Londra un’auto impazzita falcia i pedoni uccidendone 4 e prosegue la corsa fino a Parliament Square, nelle vicinanze di Palazzo Westminster. Morirà un agente di polizia, accoltellato a morte dall’attentatore Khalid Massod. Di nuovo un’auto, di nuovo morte, di nuovo ISIS. Il 22 maggio sarà il turno di Manchester, un attacco suicida uccide 23 persone e ne ferisce 122 durante il concerto della pop star Ariana Grande. Il 3 giugno viene presa di mira la zona pedonale del London Bridge: tre uomini a bordo di un furgoncino investono dei passanti per poi scendere per accoltellarne altri. Moriranno 8 persone.

Per Londra non è finita, il 16 settembre 2017 infatti, un nuovo attentato di matrice islamista colpirà la zona 2 della città. Nel mezzo ci sono gli attentati di Parigi del 20 aprile, ove perde la vita un agente accoltellato, e quello di Stoccolma del 7 aprile, quando muoiono 5 persone travolte dall’ennesimo camion lanciato sulla folla di Drottninggatan. Leggendo rapidamente questa “piccola” e sicuramente non esaustiva cronistoria, manca (fortunatamente) il nostro Bel Paese, risparmiato quanto meno in modo diretto, dalle azioni terroristiche dell’ISIS (se intenzionalmente o meno, qualcuno in futuro saprà spiegarcelo, ma non ci addentreremo in questa sede ad azzardare ipotesi sul perché l’Italia non venga colpita).

Il fatto che il nostro Paese non abbia dovuto sopportare lo strazio degli attenati, non mette purtroppo al riparo gli italiani dalle terribili conseguenze degli stessi. Sono molte le vite italiane perse negli attentati verificatisi in Europa e nel mondo. Sono infatti milioni i connazionali che vivono e lavorano all’estero e che diventano uniche fonti utili e testimoniali di ciò che accade in “un lontano da noi” che poi tanto lontano non è.

Uno di questi è l’imprenditore italiano Massimo Tortorella, presidente del gruppo Consulcesi, che ha scelto Londra come città d’azione per sé e per la propria famiglia. È proprio Massimo Tortorella a raccontare alle tv di informazione italiane quanto accaduto il recente 16 settembre a Londra, nella linea verde (District Line), all’altezza della stazione di Parsons Green, zona 2 della città londinese. Un grazie va lui e a tutte le famiglie italiane che vivono all’estero, per garantire quel ponte di fratellanza e aggiornamento costante tra il nostro Paese e tutti gli altri colpiti dall’odio.

Erano le 8.30 quando improvvisamente all’interno di un vagone della Tube, fermata Parsons Green, esplode un ordigno fortunatamente “improvvisato” che ha ferito 29 persone, nessuna in modo grave. La tragedia è stata evitata grazie ad un innesco anticipato del timer, segno che l’attentato terroristico fosse stato preparato in modo frettoloso e probabilmente non da un commando “professionista”. Il colpo di fortuna nasconde però un’inquietante verità: il terrorismo è divenuto capillare, dematerializzato, liquido. Non agisce più attraverso cellule organizzate ma si nutre di “cani sciolti” a cui bastano pochi tutorial su internet per preparare ordigni, armi e pianificare azioni di morte spesso (fortunatamente) balbettanti. Un attentato è comunque un attentato, anche laddove non si registrano vittime, ecco perché la premier britannica Theresa May ha annunciato l’innalzamento dell’allerta nazionale.

Massimo Tortorella rappresenta il volto di migliaia di italiani che si ritrovano, inconsapevolmente, a far parte di un disegno inaspettato, violento e contro cui l’unica arma possibile è forse il fato, quel destino di cui spesso parliamo senza comprenderne davvero l’entità. L’imprenditore italiano si è trovato nel classico posto sbagliato, nel momento sbagliato, con l’unica “colpa” di assolvere il suo ruolo di padre. Nel mentre avveniva l’attentato infatti, Massimo Tortorella stava accompagnando i suoi figli a scuola. Questione di attimi e la tragedia è servita. È lo stesso imprenditore ad avvalorare la tesi secondo cui il terrorismo è ormai ovunque, in modo troppo fluido per essere “anticipato” o anche semplicemente “annusato”. Massimo Tortorella 7 anni fa si sposta dal centro di Londra in zona 2, riflettendo proprio sui numerosi attacchi che colpiscono il cuore della città londinese. Oggi, intervistato da Sky, Rai, Mediaset, ammette di non sentirsi al sicuro nemmeno in quella zona che avrebbe invece dovuto garantirgli più serenità.

La domanda a questo punto è univoca: esiste o esisterà più un luogo in cui sentirci finalmente sicuri?